Ami i videogames?
Covid, quarantena e videogames: da “piaga giovanile” ad àncora di salvezza
Luca Polito
Il 2020 appena conclusosi è senza dubbio un anno destinato a rimanere indelebilmente impresso nelle nostre menti.
Il tunnel oscuro che giocoforza abbiamo imboccato lo scorso marzo, e di cui solo ora sembra all’orizzonte intravedersi la fine, ha trascinato ognuno di noi in un vortice di paura e negatività senza precedenti.
La pandemia ha generato, infatti, una tale crisi capace di farci vivere scenari, a noi del tutto sconosciuti, appartenenti ad un passato oramai remoto come il coprifuoco, l’isolamento domiciliare, la quarantena e chi più ne ha più ne metta.
Durante questi giorni difficili, segnati dalla preoccupazione e dal terrore per il virus, a tenerci compagnia e a farci dimenticare per qualche ora i problemi c’erano proprio loro, i videogames.
Certo, i videogiochi fanno parte della vita quotidiana di molti di noi già da diversi anni oramai, ma è proprio in questi mesi che abbiamo riscoperto in loro una funzione terapeutica, capace di lenire i nostri animi oppressi dallo stess e dall’angoscia.
Ebbene sì, ce l’abbiamo fatta, ci siamo tutti resi conto (o quasi) che i videogiochi non sono soltanto un semplice “passatempo”.
Numerose sono infatti le testimonianze sui social delle persone che hanno fatto dei videogiochi, durante il lockdown, la propria ancora di salvezza, grazie ad un’esperienza narrativa travolgente e immersiva propria di titoli, veri capolavori, come The Last of Us 2 e Ghost of Tsushima, tanto per citarne un paio, capace di coinvolgere a tal punto il giocatore da diventare un tutt’uno con il proprio beniamino virtuale.
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Non è inusuale leggere di persone che sono riuscite, durante i difficili giorni della chiusura totale, con l’aiuto dei videogame, a superare brillantemente esami all’università o a concentrarsi meglio sul proprio lavoro, e persino ad esorcizzare fastidiosi disturbi d’ansia. Tutti questi dati sono stati confermati anche da recenti studi, condotti da illustri equipe di psicologi e psichiatri, che si sono occupati di queste tematiche.
Possiamo quindi affermare, come direbbe Gigi Marzullo, che non bisogna vivere per giocare ma i giochi aiutano a vivere.